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Il nuovo album di Fiorella Mannoia è una toccante fotografia della perdita di umanità che stiamo vivendo

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Fiorella Mannoia è tornata con l’album “Padroni di niente” che racconta il nostro presente e la disumanizzazione della nostra società

Fiorella Mannoia è un’artista che ha il pregio, non comune e non ovvio, di saper comunicare. Per cantare bene basta il talento, per raccontare una storia appassionante basta una penna brillante, per comunicare – invece – servono spessore, intelligenza, autenticità. Doti, queste, che la Mannoia possiede e sa maneggiare con grande abilità. Padroni di niente, il suo nuovo disco, ne è l’ennesima prova, perché è il fermo immagine di un presente imprevisto e complicato, che mette a dura prova un’umanità impreparata a essere umana.

Padroni di niente: un disco per fare i conti con il nostro presente

Padroni di niente è composto da otto brani, ma – ad ascoltarlo tutto d’un fiato – si ha l’impressione che sia una canzone soltanto, lunga e ondeggiante, severa e destabilizzante, accogliente e sincera. Non ci sono artifici né compromessi, il racconto è lucido e mai edulcorato: è lo specchio di un presente disarmante, a volte sfiancante, di certo imprevisto e non rintracciabile nella memoria che ognuno conserva.

Sia ben chiaro, però, che Padroni di niente non è il racconto del presente: il presente, piuttosto, diventa un mezzo attraverso cui descrivere la disumanizzazione della società, i vizi in cui è facile inciampare quando la paura alza la voce, gli equilibri che cambiano quando cede l’impalcatura dell’abitudine. Fiorella Mannoia, in questo suo nuovo progetto discografico, toglie la maschera a un’umanità che è costretta a fermarsi, seppur controvoglia, di fronte a un fatto inatteso. Il risultato è un concept album in cui l’essere umano viene raccontato in ogni sua sfaccettatura: la tenerezza si posa accanto alla rabbia, l’insoddisfazione incontra l’insofferenza, il dolore fa i conti con alcune consapevolezze necessarie.

La capacità di comunicare, dicevo in apertura, è un pregio che Fiorella Mannoia sa maneggiare molto bene, ma non è il solo che ha: l’artista romana sa come non cadere nel tranello della retorica. La retorica è insidiosa, il rischio è che – nel tentativo di evitarla – si diventi artificiali oppure che – per inesperienza – si scavalchi il limite della mediocrità. Ma Fiorella Mannoia sa dire «E poi sarà che quando penso di voler salvare il mondo / Poi succede che è lui che invece salva me» senza risultare stucchevole e prevedibile. Sa pesare le parole e dare loro un peso, sa interpretarle perché le appartengono. Per questo, in Padroni di niente, l’impressione è che la Mannoia accompagni l’ascoltatore per mano, che lo porti a specchiarsi nelle storie che racconta, che non sono fatti, ma sensazioni, riflessioni, conseguenze. Padroni di niente non è il presente, ma l’analisi del presente.

Le canzoni di Padroni di niente

Analisi che, stavolta, la Mannoia ha fatto grazie alle sapienti penne di Amara, già autrice di Che sia benedetta, brano che si è classificato al secondo posto a Sanremo 2017, Ultimo, che firma il singolo attualmente in rotazione radiofonica Da dove arriva una canzone, Simone Cristicchi, autore de La gente parla, Bungaro e Cesare Chiodo, al servizio di Fiorella nella composizione di due brani, la giovane Olivia XX, al secolo Arianna Silvestri, con cui la Mannoia duetta in Solo una figlia. Al disco hanno preso parte, poi, Enrico Lotterini, Fabio Capezzone, Edoardo Galletti, Carlo Di Francesco e la stessa Fiorella Mannoia, che ha firmato due canzoni.

Padroni di niente si apre con il brano omonimo, che è il manifesto programmatico di tutto il disco: un’analisi lucida e severa sul comportamento dell’uomo, che scavalca persino il mondo e le sue leggi pur di affermare se stesso, senza comprendere quanto sia dannoso il suo atteggiamento (Passa, e certo che passa / L’uomo cammina e lascia la sua traccia / Costruisce muri sopra gli orizzonti / Stabilisce confini, le leggi, le sorti / Sbaglia, sbaglia chi non cambia / Chi genera paura, chi alimenta rabbia / La convinzione che non cambierà mai niente è solo un pensiero che inquina la mente). Poi tocca a Chissà da dove arriva una canzone, un brano introspettivo, un punto di domanda che non trova soluzione, ma rivela che la verità più autentica non è mai da cercare fuori di sé (Chissà da dove arriva il mare / Se parte qui o questo è già il finale / E come fanno le onde a mantenere la stessa rabbia senza mai volare). Si è rotto è un tratto di strada tra le macerie, il racconto sofferto di un’umanità che si abbandona alla rassegnazione; rimane solo la malinconia di ciò che esiste soltanto nel ricordo (Si è rotto il mondo, la luce delle scale / Il gusto dei sapori, la voglia di giocare / Si è rotto il sogno, si è rotto all’improvviso).

Il ritmo si fa sostenuto e incalzante ne La gente parla, in cui Fiorella Mannoia denuncia una società che si riempie di parole prive di valore, di peso, di significato; parole aggressive, vuote, insolenti, che sfamano solo l’infelicità di chi le usa, di chi offende per appagare la propria insoddisfazione (Frasi piene di contraddizioni, frasi per tutte le occasioni, frasi leggere che non pesano niente / Le frasi che offendono gratuitamente, dette per noia o per disperazione, giusto per attirare l’attenzione / Le frasi dette per circostanza, quelle che inducono alla violenza / Le frasi dei soliti perbenisti o quelle dei giovani integralisti / Frasi perfette per una folla come aforismi da copia e incolla). Dopo lo schiaffo de La gente parla, arriva la carezza di Sogna, una lettera che viaggia da un capo all’altro della vita (Sogna, amore mio / Sogna al posto mio / Vivi il tempo tuo inseguendo un principio, un valore). La consapevolezza della propria unicità è il leit motiv di Olà, che è un invito a scegliere, a sbagliare, a rischiare (Con la vita negli occhi / Guardo dritta al destino / Senza avere paura dei tramonti in arrivo).

Eccomi qui è uno stimolo a fare, del presente, un’occasione di rinascita: non serve un evento straordinario perché un giorno qualunque diventi l’inizio del futuro, perciò Eccomi qui racconta l’atteggiamento risoluto e caparbio di una donna che non rimanda più la felicità (È un giorno che vive in ogni persona, cambiando per sempre quel che sogniamo / È un giorno che salva e perdona gli errori, che questo è il momento e non conta più ieri). Solo una figlia, in duetto con la giovane Olivia XX, chiude il disco: si tratta di un brano poetico e concreto, commovente e tagliente, la storia di due bambine prestate a destini diversi, ma ugualmente difficili e ingiusti. Nadir è una sposa bambina, violata e offesa, strappata alla propria età e ai propri sogni; Martina è figlia di questo presente, copre le violenze di suo padre con il trucco, si veste da donna per scavalcare il tempo e immaginarsi già adulta e finalmente libera. Un pezzo toccante, drammatico, intenso.

La copertina

A completare il significa del disco ci pensa la copertina, ispirata al quadro Viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich, che ritrae un viandante, in questo caso Fiorella Mannoia, mentre osserva la propria società, ci si riflette e ferma il presente, facendone un racconto lucido, diretto, potente.

La copertina di "Padroni di niente", nuovo disco di Fiorella Mannoia

La copertina di “Padroni di niente”, nuovo disco di Fiorella Mannoia

Un inno a ritrovare la bellezza

Stavolta la sfida era difficile: trasformare in bellezza un periodo ruvido, un’umanità sfregiata, un sentimento ferito, un imprevisto che ha scoperchiato rabbia e fragilità. Eppure Padroni di niente è riuscito nel suo intento, perché è un disco che non punta il dito, ma smuove le coscienze; interroga, accoglie, alza la voce, si commuove e conserva intatta una speranza testarda, quella che ci ricorda che «la vita è un valore».

«Siamo padroni di tutto e di niente», canta Fiorella Mannoia nella title track del disco, e forse la verità è tutta racchiusa in questo verso. Ricordarsene, con la fatica e il coraggio che costa, significa imparare a rispettare il mondo che ci ospita, la diversità che ci qualifica, la bellezza che è ancora possibile e che dobbiamo permettere.

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